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Da Draghi “sì” all’Europeo. L’Italia giocherà a Roma con 17.500 spettatori

Potrebbero essere anche di più. A segno l’alleanza Vezzali-FIGC. Gravina e Malagò esultano: «Un messaggio per tutto il Paese»

L’Europeo «italiano» è salvo. Allo stadio Olimpico di Roma si giocheranno come previsto quattro partite, nessun piano B o C o D, nessun trasferimento beffa a Istanbul della partita inaugurale in cui la Nazionale di Roberto Mancini sfiderà la Turchia l’11 giugno alle 21 davanti a poco più di 17mila spettatori, «almeno il 25 per cento della capienza». Attenzione a quell’«almeno». Indica la possibilità di andare oltre. Sempreché naturalmente le condizioni epidemiologiche e la campagna vaccinale lo rendano possibile. In questo momento si tratta di una speranza, il raggiungimento di quei numeri è già un’impresa e naturalmente si dovrà sempre monitorare il quadro dell’emergenza sanitaria, ma quella speranza ha un valore. Il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina esulta: «Una splendida notizia». Giovanni Malagò dal CONI parla di «messaggio di speranza per tutto lo sport italiano».

IL RISCHIO

Un esito non scontato. Anche perché a un certo punto, quell’ultimatum UEFA, il rifiuto di concedere altri giorni, e il verbale con il freno a mano tirato del Comitato Tecnico-Scientifico, quel «al momento non è possibile confermare…», avevano fatto davvero pensare al peggio. È stata Valentina Vezzali a firmare la stoccata finale, sua la lettera in cui il Governo ha dato il via libera. Ma il suo ruolo non è stato formale perché la neosottosegretaria ha costruito un’alleanza efficace con la Federcalcio e Gravina, coinvolgendo Draghi. Che ha spinto verso il sì anche il ministro della salute Roberto Speranza. Certo l’imprimatur del premier è stato determinante, in quell’«almeno» c’è il ragionamento che ripete come un mantra, la capacità di immaginarci fra due mesi in un Paese riaperto, in sicurezza. Dunque, il calcio non come scheggia impazzita e insensibile a tutto ciò che lo circonda, ma come uno dei simboli, non certo il solo, della ripartenza.

SFIDA E FUTURO

Perché l’Olimpico riaperto dovrà essere circondato da un mondo che ricomincia a vivere. Quel 25 per cento, anzi quell’«almeno il 25 per cento» diventa una cifra da riempire di contenuti. Bisognerà arrivare a un’organizzazione impeccabile e costruire protocolli inattaccabili. La mossa vincente, in sintonia con la Vezzali, è stata proprio l’aver portato il dilemma «Europeo» a livello di Governo senza lasciarlo solo agli scienziati. Ma diciamoci la verità, ora il calcio ha anche un debito verso la collettività. Ecco perché Gravina non elude il problema anche di segnali sbagliati che possono venire da questo mondo, dalla festa a casa McKennie alla cena vietata di Ibra, «bisogna rispettare le regole perché ci si deve rendere conto dell’importanza di essere un esempio per tutti coloro che ti guardano». Per questo il presidente federale torna anche sulla vicenda dei contagi in Nazionale. «Fino al 31 marzo il gruppo squadra risultava assolutamente negativo. Non entriamo in valutazioni scientifiche, ma tra i contagiati sono state individuate varianti differenti del virus, quindi il cluster della Nazionale non è un cluster: la catena non è mai stata alimentata».

PROSSIME PUNTATE

Oggi Gravina andrà a Palazzo Chigi e incontrerà il sottosegretario Roberto Garofoli, domani si vedrà nuovamente con Valentina Vezzali. C’è una road map verso l’Europeo da verificare. E bisogna cercare intorno a questo percorso di poter attivare nuove aperture in sicurezza, andando più in là del grande evento. La Nazionale non può giocare da sola. Si legge su “La Gazzetta dello Sport”.

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