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Salvioni: “Balo sbagliò a venire a Brescia. Se fa bene al Monza può tornare in Nazionale”

“Mancini non guarda la categoria: se un giocatore merita, viene chiamato. Sono convinto che farà bene, anche perché è andato in un ambiente che conosce”

L’ex Brescia, Sandro Salvioni, intervenuto in esclusiva ai microfoni dei colleghi di CalcioBrescia, ha parlato di Mario Balotelli e del suo arrivo al Monza.

Cosa si aspetta quest’anno da Balotelli, lei che per primo lo lanciò a Lumezzane? Può ambire ancora alla Nazionale?
“Penso che possa tornarci, ma dipende da lui. Anche perché Mancini non guarda la categoria: se un giocatore merita, viene chiamato. Sono convinto che farà bene, anche perché è andato in un ambiente che conosce, e sa che Berlusconi e Galliani credono molto in lui: questo è importante per un giocatore. Poi ho letto alcune interviste dei giocatori del Monza, che hanno dichiarato di non aver mai visto nessuno fare le cose che fa lui in allenamento”.

Poi, se sta bene, è di un’altra categoria in Serie B…
“Sì, ma deve stare attento, perché in B c’è da correre e darsi da fare. Ti possono anche ‘picchiare’. Ma sono convinto che farà bene, e sono sicuro che Mancini lo richiamerà in Nazionale se dimostrerà il suo valore”.

L’ultima esperienza felice per lui è stata a Nizza.
“Gli volevano bene tutti, mi hanno sempre parlato positivamente di lui. Dopo Marsiglia è arrivato in Italia, ed è andata com’è andata. Ha sbagliato, secondo me, a venire a Brescia. Ricordo che ai tempi di Lumezzane scappava sempre via in bicicletta: all’inizio mi diceva ‘mister, devo andare a studiare’, poi lo presi da parte e mi confessò che andava a giocare a calcetto con i suoi amici all’oratorio. Io trattenni una risata, e gli risposi: ‘Ma sei matto? Guarda che puoi farti male, è un periodo importante per te’. Lui mi rassicurò dicendomi che i suoi amici sapevano di non doverlo ‘picchiare’. Come andò via, mi misi a ridere. Poi lui è molto simpatico, è un ragazzo da spogliatoio, fa battute e ride: quando trova l’ambiente adatto a lui, ovviamente. Mi bastarono cinque minuti per portarlo in prima squadra: aveva quindici anni, ma sul campo ne dimostrava trenta. Il suo allenatore mi disse che non poteva venire con noi a Padova per motivi legati all’età, ma dopo aver risolto le pratiche burocratiche con la Federazione lo convocai. Entrò a mezz’ora dalla fine: non segnò, ma guadagnò il corner da cui scaturì il gol-vittoria”.

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