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Più rispetto per i tifosi

A Torino l'arbitraggio di Aureliano ha fatto molto discutere. Raffaele Palladino, notoriamente uomo tranquillo, ha deciso di non parlare con i giornalisti. Leggendo i commenti del giorno dopo, forse occorre fare una riflessione che vada oltre i giocatori e l'arbitro.

Facciamo una premessa: ci sono cose molto più importanti del calcio. Poche settimane fa presso il settore logistico dell’aeroporto di Malpensa i lavoratori dei sindacati di base hanno protestato per avere salari più dignitosi e il ticket per mangiare a mezzogiorno, affinchè passasse da 5 a 8 euro. Protestavano per avere un aumento di almeno tre euro, visto che il pasto costa 7 euro e l’azienda copriva solo fino a 5 Euro.

Dunque, certo, a proposito di calcio: ieri a Torino i padroni di casa hanno avuto un rigore quanto meno generoso e un’espulsione a favore, di Pessina, altrettanto discutibile. Falli entrambi commessi su Ricci. Ne parliamo perchè di mezzo c’è lo sport nazionale. Tema leggero, buono per spenderci qualche minuto, lontano dagli affanni reali della vita.

Ciò premesso possiamo dire che nel primo caso, il giocatore del Torino, Ricci,  è sembrato essere stato preso al lazzo da un buttero maremmano che – osservando la caduta – sembrava lo avesse afferrato con tale forza da provocarne uno svenimento in area di rigore per tentato soffocamento.

Nel secondo caso, un intervento da tergo, sotto la pioggia, s’è trasformato in un treno ad alta velocità che ha travolto nuovamente il giocatore granata, provocandone un effetto simulato politraumatico, con rinnovato svenimento, e che ha indotto l’arbitro a fischiare anche qui il fallo e a reiterare in tre minuti l’uso del cartellino giallo. Inevitabile conseguenza: cartellino rosso per il capitano del Monza.

Fuori di metafora: Ricci ha simulato come comunemente si fa nel calcio italiano. A Milano, Barella è stato costretto a mettersi metaforicamente sui ceci per chiedere perdono dei suoi rantoli post caduta traumatica con annesso rotolamento in area di rigore, contro il Genoa. A Torino ieri Ricci ha semplicemente rinnovato una tradizione italiana. Diciamolo chiaro: alla fine fa parte del gioco e, per quanto scorretto e anti sportivo, se viene praticata da tutti vuol dire che la simulazione una volta la subisci, una volta l’hai a favore, con l’arbitro che fischia quando non dovrebbe.

Il punto, è un altro. È l’onestà intellettuale che manca nel riconoscere, in chi la partita l’ha commentata, che in effetti la decisione presa dal giudice di gara è stata sbagliata. Si poteva ricorrere al Var per evitare almeno l’espulsione e magari anche il rigore. Così come sarebbe stato giusto ricorrere al Var per il fallo su Mota a fine incontro, equiparando il giudizio del primo rigore al secondo non assegnato.

Perchè in realtà la cosa più grave è stato leggere il giorno successivo all’incontro che la terna arbitrale e quella a Lissone “hanno visto tutto giusto”, quando l’evidenza empirica dimostra il contrario. Una cosa è giudicare sul momento, un’altra cosa è giudicare attraverso la moviola. Non vedere e non raccontare è eticamente molto più grave.

L’arbitro Aureliano ha sbagliato ma ha dalla sua parte molti alibi. La pioggia, il terreno scivoloso, le simulazioni dei giocatori, la velocità dell’azione. Può aver errato. Non può non vedere invece chi era davanti ad un monitor. Così come non può non vedere chi al termine della partita, ha potuto valutare le immagini e poi scrivere della partita.

Adriano Galliani è stato un signore. Non una parola fuori posto. Del resto lui viene da anni memorabili. Dal 1991/92 al 1993/94, il Milan di Capello, vincitore di scudetti e Champions League ebbe 11 calci di rigore a favore in tre stagioni di fila: nove nel 91/92, 2 nel 92/93,  nessuno nel 1994,  con oltre 175 gol segnati e tre scudetti di fila (e la Champions nel 1994). Un assurdo statistico, possibile solo nell’era dell’anti berlusconismo militante.  Qui si parla di Monza. Resta una regola, comunque, valida sempre: i tifosi meritano più rispetto.

 

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