Il centrocampista del Monza ha parlato della sua stagione in Serie A e anche dei suoi compagni di squadra
Il check-up di fine marzo, sotto un sole che a Monzello scalda ma non brucia, è funzionale a una visita di una Lazio seconda della classe. I valori sono decisamente nella norma, quello stato di buono rasente all’ottimo ricalca le varie tonalità nella stagione del Monza. Machin è un tipo che le sfumature variegate da queste parti le ha viste tutte: con Mota Carvalho e Lamanna, lui resta l’unico ad aver attraversato ogni categoria tra la C e la serie A col pensiero fisso di arrivare a questo punto. Scrive il Corriere dello Sport.
Ai giorni nostri c’è la “formula Palladino” che ha un concetto di fondo: si vola senza staccare i piedi da terra. Respirando a pieni polmoni l’aria pulita di metà classifica. Basta e avanza per recapitare alla Lazio il dovuto messaggio, a tre giorni dalla partita. Il Monza è abituato a pensare in grande, e non fa sconti. Nella genesi del Machin italiano, poi, c’è una romanità miscelata dal destino: «Con l’agente Nunzio Marchione, nel 2015, sono arrivato qui per essere visionato dalla Lazio mentre facevo le giovanili in Spagna. Invece poi la grande possibilità l’ho avuta dalla Roma. E’ stato un inizio di carriera che mi ha dato molto».
C’è un riferimento su tutti?
«Faccio il nome di Daniele De Rossi, per tanti motivi. Il ruolo in campo, simile al mio, ma anche il carisma e la leadership che ha sempre dimostrato nella Roma. Oltre ai molti consigli che ho ricevuto. Lì in prima squadra ho fatto solo qualche panchina, ma stare a contatto con dei campioni come Daniele o Totti è servito per rodarmi subito. Poi ho avuto Alberto De Rossi allenatore nella Primavera. E qualche anno più tardi, nel maggio 2019, la mia seconda partita in serie A è stata Roma-Parma: sono tornato da avversario all’Olimpico proprio nel giorno dell’addio al calcio di Daniele. In qualche modo un segno del destino».
Un peso specifico non indifferente, un po’ come l’aver visto da vicino Messi, ai tempi del Barcellona.
«Un fenomeno già allora, Leo, quando stava lasciando la cantera per diventare il migliore al mondo. La differenza con gli altri era evidente. Del settore giovanile che c’è in Italia, mi sono accorto di una cosa: qui viene tutto strutturato per vincere subito».
Senza andare troppo lontani, la prima da titolare in A col Monza di Machin è stata proprio all’Olimpico: anche questo è destino?
«Era la partita con la Roma nel girone di andata: fa sempre effetto giocare in uno stadio così. L’importante è aver fatto tesoro di quella sconfitta. Risolvere i primi problemi in questo campionato ha fatto venire fuori il vero Monza. Quella era una squadra in difficoltà, poi ci siamo ripresi».