L’ex tecnico dei biancorossi, raggiunto dal Giornale di Monza, si è raccontato a 360°
Dalla carriera da calciatore fino a quella da allenatore, è un Pierluigi Frosio a 360° quello che si è raccontato al Giornale di Monza.
Di seguito, infatti, le sue principali dichiarazioni.
IL PERUGIA. «Quando feci le visite mediche con il Perugia mi chiesi perché non mi avesse preso l’Arezzo: all’epoca era una squadra molto ambiziosa, ma poi retrocesse. Con il Grifo ho firmato l’ultimo gol nel vecchio stadio, era la festa promozione del giugno 1975. Solo la coppia di marcatori aveva ruolo fisso, gli altri alternavano attacco e incursione, inoltre eravamo una squadra spensierata e le rivali soffrivano la nostra fisicità. Giocavamo un calcio moderno, adatto a quel vulcano del presidente D’Attoma: fu lui ad affibbiarmi il soprannome di “Colonnello”».
IL DRAMMA. «Renato Curi era un tipo alla Verratti, tecnica, incursione e tiro… La sua morte in campo durante la partita con la Juventus fu un trauma: la domenica successiva a Napoli dopo dieci minuti eravamo sotto di tre gol… Sua figlia Sabrina tra l’altro vive a Monza».
RIMPIANTO AZZURRO. «Ero all’altezza della Nazionale, ma Scirea e Baresi erano più giovani di me. Magari, se Radice fosse riuscito a portarmi al Milan…».
L’ALLENATORE A MONZA. «Quando smisi di giocare feci un po’ di apprendistato nelle giovanili del Perugia, poi approdai al Monza: Marotta e Maggioni volevano valorizzare i giovani, ma la ciambella riuscì col buco e noi centrammo promozione e vittoria della Coppa Italia di Serie C. Della Serie B ricordo che Di Marzio mi disse che avrebbe volentieri scambiato la posizione in classifica del suo Catanzaro con le nostre qualità tecniche. Ho bene in mente anche lo spareggio contro il Messina: ci finimmo perché avevamo lacune offensive e la partita fu decisa da un episodio…».